QUATTRO PASSI IN PIAZZA

QUATTRO PASSI IN PIAZZA

di LUCIO FABI

 

Quattro passi in Piazza Transalpina/Europe (ma un nome solo, magari condiviso, no?) chiariscono al visitatore le particolarità di questa città sul confine. O delle due città con il confine in mezzo, come preferite. I simboli del passato diviso da una guerra “fredda” che vide contrapposti due blocchi irrimediabilmente antagonisti, sono ora diventati buoni per una foto ricordo. Un selfie sul mosaico, una lustratina al cippo 57/15 messo in un angolo, una birra al baretto e, quando aperto, una doverosa visita al museo dei simboli del passato.

 

L’imponente stazione costruita agli inizi del secolo per la nuova linea che collegava Vienna a Trieste, la Transalpina, è indubbiamente la star del luogo. Doveva costituire l’ampiamento urbanistico della città verso est e invece, grazie a due guerre mondiali, ha finito per rappresentare, con la nuova città che si andava costruendo attorno, il simbolo di un paese “altro”, un “altro” modo di vivere e di pensare, per i goriziani e per il mondo occidentale.

 

Oggi non è più così, per fortuna. Basta dare un’occhiata al panorama che la circonda, per rendersene conto. Lo skyline che si intravede in lontananza è fatto di edifici moderni, dalle linee ardite e postmoderne, alcuni ancora in costruzione. Si percepiscono come luoghi di residenza per uffici, negozi, nuclei familiari abbienti. Ben diversi dagli storici “Blocchi russi” voluti per i primi abitanti della nuova città. Chi andrà a vivere in questi moderni caseggiati? Nova Gorica, pur più “giovane” di Gorizia, è in una fase demografica di stasi, se non negativa. Le case costano molto, e non pochi preferiscono acquistare a meno a Gorizia. Subito dietro questi edifici, una grande area commerciale, con negozi di ogni tipo, che attraggono una clientela variegata proveniente dalle due città e dai loro dintorni. E poi ci si chiede come mai da Gorizia spariscono i negozi e ci sono tanti avvisi di vendita sulle saracinesche chiuse.

 

Indifferente. Il turista che in questi giorni di fine maggio si aggira per le due città attirato dal battage pubblicitario di GO2025 si trova nel bel mezzo di Estoria, la festa del libro e dei suoi autori, ha la percezione di essere capitato in una città viva e culturalmente avanzata. Grazie alla magnanimità di una importante fondazione finanziaria può perfino ammirare un importante dipinto del Caravaggio. A palazzo Attems, ex sede dei musei provinciali, oggi feudo della cultura regionale (ma come finirà, adesso che si vogliono reintrodurre le Province?), l’importante mostra del pittore Zoran Mušič, uscito vivo dall’inferno di Dachau, dimostra una volta di più la volontà dell’arte di sopravvivere agli orrori della guerra.

La stessa piazza, ora che non è più divisa dalla rete metallica che proteggeva il confine, appare, è un luogo di scambio e di condivisione. Nulla ricorda quel travagliato periodo storico, fermo soltanto nella mente di quei goriziani (ma non solo) che ancora non si arrendono all’evidenza dei fatti, che vogliono ancora nutrirsi dei demoni e dei veleni di un periodo storico ormai finito. Non sono pochi, rimangono spesso silenziosi, ma in certi momenti ripropongono le loro logiche di contrapposizione e di rivalsa. Allora Mussolini cittadino onorario della città rivive, gli orrori dei partigiani occupatori ritornano ingigantiti, i poveri disgraziati martiri delle foibe vengono tirati in causa da manifestazioni e giornali, giovani di Casa Pound e simili percorrono le strade della città. Per fortuna ci sono anche manifestazioni di amicizia e di fratellanza, come ad esempio la frequentatissima marcia transfrontaliera a unire le due città, o altre iniziative che raccontano di una società collaborativa e non in conflitto. 

 

Un segno di come le due città hanno saputo costruire nel tempo rapporti di vicinanza e di scambio è dato dalla bella mostra organizzata non a caso nel moderno, frequentatissimo sottopasso ferroviario della Transalpina. Con alcune foto significative e testi trilingui (sloveno, italiano, inglese) l’esposizione Never mind the borders (“Non badare ai confini”) mostra a chi ancora non lo sapesse che, nel tempo, il confine da sbarramento è diventato luogo di passaggio e di convenienza. Gli accordi italo-jugoslavi degli anni Cinquanta e Sessanta hanno aperto la strada all’economia transfrontaliera e al piccolo commercio, favorito da documenti (la famosa prepustnica) che consentivano il libero transito ai residenti. Ognuno, da una parte e dall’altra del confine, lo oltrepassava per comprare beni di cui necessitava. La convenienza economica la faceva da padrona. Benzina, sigarette, carni e verdure da una parte, attrezzi vari, jeans e bambole dall’altra. Con il consumismo cresceva la conoscenza reciproca e si affievoliva il ricordo della guerra. Oggi noi abbiamo presente ben altre guerre, che rimbalzano dai giornali e dalle televisioni alle piazze, e che ancora dividono il mondo. Guerre che non portano niente di buono. Lo ricorda il soldato senza tempo tracciato con vernice bianca su un vagone merci dello scalo della Transalpina, mentre mi avvio all’edificio che tra qualche mese ospiterà Epic, esposizione storica sul passato e sul presente delle due città.



Articolo originale in Italiano.