UN UOMO CHE NON DORME

UN UOMO CHE NON DORME

di PETER ABRAMI

 

Le chiese sono chiuse quando cala il sole, come se serrandosi spingessero la sacralità di questo luogo di preghiera fuori, facendo del sagrato, della piazza, della città tutta, un tempio avvolto nella buia coltre della notte. La città ha un dito davanti alla bocca, si fa zitta, schiva, dormiente. 

 

Così appare Gorizia da camera mia, via Rastello 19, ore 00.53. Le spesse pareti di pietra antica mi isolano, mi escludono dalla strada, dalla vita. Spesso le cose migliori sono proprio le più semplici. Basta quindi aprire una finestra per spalancarsi al mondo. L’udito, ora, prende il sopravvento sulla vista. Il giorno, fruscio continuo, turisti dal nord passeggiano distratti dalla guida che interrompe i loro pensieri erranti, che si arrampicano ora sulle grondaie, ora si gettano per profondi tombini. La notte, ovatta, anche uno spillo che cade diventa un’incudine.

 

Dovrei dormire, certo, ma anche quella è ormai diventata abilità da perfezionare. Strizzo le orecchie. Fuori c’è un vociare. La città è viva. Almeno da qualche parte. Chissà se in qualche bar ancora aperto, se sulle panchine-oliveto di piazza Vittoria, se sui muretti improbabili di qualche palazzo, sulla saracinesca sormontata da un’insegna che ha visto giorni migliori, dei giovani sono appollaiati, con le unghie e con gli artigli, resistendo, per non trovarsi come me, da soli, dentro, a scrivere di loro, insieme, fuori. 

 

Dentro e fuori possono d’un tratto diventare concetti spaventosamente concreti.

 

Sono colto, allora, dalla forte tentazione di violare questa inviolabile opposizione, questo biblico binarismo, di fare come Perec e buttarmi nelle vie della città, DELLE città e di diventare io stesso città, tanto da descrivermi, radiocronacarmi in seconda persona. 

Non sono Perec. Resto, scrivo. In fondo, anche lui si perdeva, per ore, giorni, settimane infinite a guardare le macchie nel soffitto.

 

Se io guardo il soffitto bianco, crepato, che soffitto guardano i miei omologhi opposti, laggiù, sul selciato? In basso, davanti ai loro nasi, il buio è sconfitto, mangiucchiato da insegne al neon, lampioni, luci di macchine che si affacciano come occhi di gatti. Ci si mettono, poi, anche i veri occhi della città, quelle finestre illuminate, illuminanti. Divorate, al loro interno persone non possono, o non vogliono, soccombere al sonno, salvifica, redimente morte temporanea. Ma qual è il soffitto di Gorizia, il soffitto delle città?

 

Il cielo oggi è particolarmente distante, ossuto, vuoto. Forse un filo di nebbia mi nega la visione del firmamento. Tocca accontentarsi, allora, di soffitti più bassi, più materici, ciottoli, tegole e cipolle. Di certo, un altro giorno… Un altro giorno il vento soffierà via la nebbia, scoperchiando questo tetto a favore di uno più alto, più distante, ma al contempo più vicino. Città a decine, centinaia, migliaia di chilometri, città in piastrelle, in marmo, in parquet, città millenarie e città giovani, città con eserciti di gru e città rase al suolo da costruttori di morte, città inondate e arse, vissute e scomparse, diverse per cinque mura, accomunate dallo stesso soffitto di punti nel buio. 

 

Georges Perec, prima di lasciarci alla lettura del brillante Un uomo che dorme, nella prefazione si affida a Kafka, che dice “Non c’è bisogno che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare nemmeno, aspetta soltanto. Non aspettar neppure, resta lì tutto solo e in assoluto silenzio. Il mondo verrà ad offrirsi a te perché lo smascheri, non può fare altrimenti, si voltolerà estasiato ai tuoi piedi”. Eccomi dunque bloccato, volontariamente in trappola, tra tavolo, letto, sedia e finestra. Non sono uscito, non ascolto, non aspetto. Silenzio. Nelle città, a decine, centinaia, migliaia di chilometri da me, Dio solo sa quanti stanno facendo lo stesso, sotto gli stessi punti nel cielo. Una città intera di braccia che, come sismografi, registrano piccoli, ridicoli terremoti, flebili linee nell’elettrocardiogramma urbano.

Non sono uscito, non ascolto, non aspetto. Silenzio. 
Ecco, fuori, lontano,
una donna ride
un uomo tossisce
in strada passa l’ultimo notturno
ecco, fuori, più lontano
ll sole si alza
le chiese si aprono



Articolo originale in Italiano.