CRONACHE DI UN GENOCIDIO PERFETTO

CRONACHE DI UN GENOCIDIO PERFETTO

di FRANCO JURI

 

Anche quando colpisce per errore l’esercito israeliano lo fa con precisione certosina. L’errore non sbaglia il bersaglio, a colpirlo ci pensa l’intelligenza artificiale. I bersagli da colpire sono ormai da tempo negli algoritmi di Aman, HaTam e dell’IDF, l’hard core dell’intelligence militare e dei reparti speciali con la stella di David che hanno messo e mettono a ferro e fuoco la striscia di Gaza. E cosa significhi perdere nove dei propri dieci figli in pochi fatali secondi, lo sa disperatamente bene Alaa al-Najjar la pediatra dell’ospedale Nasser di Khan Yunis nel sud della striscia, sopravissuta perché fuori casa stava salvando altre vite di bambini palestinesi. Uno dei tanti massacri che si perpetrano spietatamente con ritmo quotidiano a Gaza da quasi due anni con il pretesto di fare la guerra a Hamas. Il governo di Netanyahu, con megafoni e torce in mano a feroci ministri razzisti come Itamar Ben-Gvir o Bezamel Smotrich, e spalleggiato dall’amministrazione Trump, ormai nemmeno dissimula le sue vere intenzioni; espellere i palestinesi dalla Palestina, oppure sterminarli, per realizzare fino in fondo il sogno sionista di un grande Israele. E se non si riesce a farlo con le buone, lo si fa con le cattive, anche con il genocidio, protetto dai tanti muri che frammentano la Palestina e dal grande muro di omertà del “mondo libero”. Ci voleva solo un casus belli, e Hamas glielo ha regalato il 7 ottobre 2023 con l’eccidio di milleduecento israeliani – in parte caduti nel caos anche sotto le raffiche degli elicotteri amici – e il rapimento di 250 ostaggi. Da li in poi una carneficina senza precedenti, un sistematico massacro di palestinesi; non solo di miliziani combattenti di Hamas e di loro potenziali sostenitori, ma, indiscriminatamente, di civili, bambini, donne, anziani, giornalisti, operatori umanitari e sanitari, medici… Persino alcuni diplomatici stranieri hanno provato il brivido del bersaglio umano. Una città rasa al suolo, spettrale, piena di morti vivi in cerca di cibo, acqua, un rifugio precario, le cui immagini vengono diffuse da tanti media e attendibili testimonianze, permettendo al mondo, a tutti noi, di assistere in diretta al genocidio. E non è intelligenza artificiale, è una guerra analogica che Israele fa con la distruzione sistematica, la fame, la sete e il blocco intermittente degli aiuti umanitari, che Washington, fiutando il businness, vuole privati e americani. Mettendo fuori legge persino l’ONU.

 

Eppure la disomogenea Unione europea non si muove, o quando lo fa, esprimendo in sordina preoccupazione con frasi, moniti e appelli a “non esagerare”, qua e là anche con qualche battuta di sdegno, oppure – come nel caso di Orban – con apprezzamenti e inviti al premier carnefice, lo fa in modo da non preoccupare e non intaccare le capacità operative e genocide di Netanyahu detto Bibi. Questo continua indisturbato a massacrare, oltre che con armi amiche americane, anche con quelle europee, tedesche in primis. Israele continua pure a cantare all’Eurovision e quasi a vincere l’ugola d’oro con i propri algoritmi. E continua indisturbata a pedalare al Giro d’Italia con inizio in Albania. Gli statisti europei fanno ormai da due anni orecchie da mercante persino ai moniti e agli appelli di tanti ebrei democratici e pacifisti che nel mondo protestano, solidarizzano con la popolazione palestinese e danno apertamente del boia a Bibi.  Nessuna seria proposta di sanzioni è stata finora avanzata dai vertici UE nei confronti di Israele. Ben lungi dai 17 pacchetti e migliaia di sanzioni imposte alla Federazione russa dopo l’agressione all’Ucraina.

 

Qualche sanzione individuale mirata a un paio di ministri e anonimi violenti coloni israeliani che occupano la Cisgiordania, oppure l’ipotesi di congelare l’accordo di associazione tra Israele e l’UE entrato in vigore nel 2000, appaiono, rispetto a ciò che sta accadendo sulla riva sud orientale del Mediterraneo, come una cinica presa in giro alla dignità e all’etica umana. I paesi europei che un anno fa hanno riconosciuto la Palestina e che di più si adoperano politicamente per la soluzione dei due stati che fermi il genocidio in atto – Spagna, Belgio, Irlanda, Norvegia e Slovenia – tacciati da Israele, come già lo è stato il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres di “antisemitismo”, continuano a ritrovarsi in minoranza. Antisemitismo? Quale? Quasi sessanta mila semiti palestinesi sono stati trucidati da Israele a Gaza e in Cisgiordania in meno di due anni. La complice ambiguità che oscilla tra la fatua retorica che pronuncia la parola pace balbettando e il senso di impotenza e di colpa che pervade certi europei figli di autori e complici dell’Olocausto, è stato messo a nudo recentemente al Parlamento europeo, e per la prima volta da una presidente di stato, quella della Slovenia. Nataša Pirc Musar, uscendo coraggiosamente dalle righe del discorso confezionato, non ha usato mezzi termini: “stiamo guardando un genocidio e continuiamo a tacere”. La metà sinistra del parlamento ha applaudito in piedi, l’altra metà ha continuato a tacere, a grugnire o a imprecare contro la statista slovena. Più tardi la stessa presidente si è spinta nuovamente fuori dalle righe dei tabù europei anche sulla guerra in Ucraina, avanzando l’ipotesi di ripristinare la comunicazione con la Russia, affidata non alla militante e militarista Kaia Kallas, bensì ad un gruppo di saggi capace di comunicare anche con il diavolo in persona, con Putin.

 

Dalla Slovenia la Pirc Musar ha fatto i nomi degli ex presidenti Milan Kučan e Danilo Türk.  Ma si sa, i presidenti possono esprimere giudizi morali e politici, o avanzare qualche proposta, ma chi li realizza o no sono i poteri esecutivi, e questi volentieri e pragmaticamente temporeggiano nonostante la dichiarata sintonia tra Spagna e Slovenia nel richiedere una maggiore pressione europea su Israele.

 

Eppure la Corte penale internazionale (CPI) ha già condannato Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, emettendo, come fatto già per Vladimir Putin, un mandato internazionale di arresto senza i due pesi e le due misure dell’EU. Ma Bibi ha poi visitato indistrurbato un paese membro dell’UE firmatario del CPI, l’Ungheria, e persino il neocancelliere Merz ha espresso l’intenzione di riceverlo in Germania, in barba al verdetto del tribunale penale. Ma poi, per opportunità politica, ha nascosto la mano. Dalla Slovenia invece a sostenere apertamente Netanyahu e la sua opera, è il leader dell’opposizione Janez Janša, che è volato, insieme all’amico e presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, a Gerusalemme per dar man forte all’estrema destra israeliana e sostenere il genocidio a Gaza. A negarlo, criticando l’intervento su Gaza della presidente Pirc Musar all’Europarlamento, si è messo anche Anže Logar, ex ministro degli esteri nell’ultimo governo di destra e leader del “Partito democratico”, variante edulcorata nata da una costola del Partito democratico Sloveno (SDS) di Janša. Una creatura vicina alle posizioni “diplomatiche” di Meloni e Tajani, un Lupi dei moderati sloveni.

 

Presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), un organo giudiziario delle Nazioni unite, di sovente ignorato e umiliato dai lider autoritari e sovranisti, è in corso invece il giudizio sull’istanza contro Israele presentata il 29 dicembre 2023 dal Sudafrica con lo scopo di prevenire o fermare il genocidio a Gaza. Nessun paese membro dell’UE si è offerto a sostegno diretto della querela sudafricana.

 

Donald Trump, ripetendo lo spettacolo da gogna pubblica già messo accuratamente in scena con Zelensky nello studio ovale, vi ha fatto entrare anche il presidente sudafricano Ciryl Ramaphosa – venuto incautamente in America alla ricerca illusoria di cooperazione tecnologica e commerciale con gli USA – ma solo per umiliarlo pubblicamente, denunciando con veemenza e scarso lessico, sotto lo sguardo da fanciullo appagato e compiaciuto di Elon Musk, presunti soprusi »razzisti« delle autorità sudafricane nere a danno dei farmer bianchi. Ramaphosa, accompagnato da una delegazione nella quale tre ministri erano bianchi, non si è scomposto, ammettendo i frequenti episodi di criminalità e violenza nel suo paese a danno di neri e bianchi, ed evitando per gentilezza di rinfacciare a Trump i suoi sostenitori notoriamente razzisti, molti dei quali affiliati al Ku Klux Klan. 

 

E intanto le guerre, quelle con le armi, quelle di propaganda, quelle ibride e quelle dei dazi, proseguono, i negoziati pure, ma senza per ora gli esiti sperati. Non cede Putin, non cedono Zelensky e l’UE; la Germania di Friedrich Merz si (ri)armerà e, sfidando di petto Mosca, armerà l’Ucraina con missili a lunga gittata. 

 

Quasi tutti “temi grandi” hanno assistito apparentemente commossi alla cerimonia funebre di Papa Francesco, il papa che invocava la bandiera bianca e quella arcobaleno della pace, e all’insediamento del nuovo papa, Leone XIV che come Francesco parla di pace, solidarietà, sostenibilità e disarmo. E tutti hanno nuovamente finto di ascoltarlo e di capirlo.



Articolo originale in Italiano.