IL “NO” CHE DA’ FASTIDIO

IL “NO” CHE DA’ FASTIDIO

di ELEONORA SARTORI

 

Non se ne può più, è una mattanza. Non sono arpioni a colpirci, ma le mani di chi afferma di amarci, di volerci bene. La violenza sulle donne ha raggiunto livelli tali che più di qualcuno è arrivato ad affermare che non se ne deve parlare più, almeno a livello mediatico, che continuare a riempire i palinsesti di femminicidi potrebbe in qualche modo addirittura generare emulazione. Altri continuano a negare il fenomeno e riconducono le azioni violente alla fattispecie più generica di omicidio. Io trovo che entrambe le considerazioni siano una incosciente manifestazione di paura, perché è più facile nascondere o mistificare, seppur inconsapevolmente, che accettare l’amara verità: la violenza sulle donne non è prevedibile, non riguarda una particolare categoria di donne che la subiscono o di uomini che la agiscono. Non avendo etnia, classe sociale, né età, può riguardare tutte e tutti e questo ci annichilisce.

 

E no, non può essere rientrare nel calderone degli omicidi perché, come ha scritto bene Michela Murgia: dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché.

 

Dunque, perché? Provate a chiederlo a Chat GPT e resterete di stucco. L’intelligenza artificiale snocciola alcune delle cause principali.

 

Cultura patriarcale e dominio: la società patriarcale insegna agli uomini fin da piccoli che devono controllare, dominare, possedere. Il rifiuto e l’indipendenza femminile non vengono percepiti come diritti, ma come affronti personali.

 

Se non stai con me, non starai più con nessun altro.

 

Fragilità emotiva e mancanza di educazione affettiva: molti uomini non sono stati educati a gestire le emozioni. Rabbia, dolore, senso di abbandono sfociano in violenza, perché non sanno dare un nome a ciò che provano, né, di conseguenza, esprimerlo.

 

Se mi lasci, ti rovino.

 

Modelli tossici di mascolinità: l’uomo forte, secondo la narrazione mainstream, è quello che non deve chiedere mai. È dominante, indifferenze, insensibile, vendicativo. In assenza di modelli alterativi altrettanto popolari, empatia, vulnerabilità, ascolto sono sinonimi di debolezza.

 

Non piangere come una femminuccia.

 

Paura del potere femminile: le donne che si emancipano, brillano di luce propria, dicono di no, spaventano. In certi uomini nasce una rabbia cieca nei confronti di ciò che non riescono più a controllare.

 

Senza di me, non vali niente.

 

In sintesi, molti uomini non odiano le donne ma ciò che le donne risvegliano in loro: senso di inadeguatezza, perdita di controllo, frustrazione di non essere i primi e di non essere abbastanza. Invece di guardare dentro di loro, distruggono ciò che c’è fuori.

 

Esiste una soluzione veloce e valida per tutti?  No, esiste una trasformazione più lenta ma molto radicale che deve avvenire su più piani, che deve necessariamente coinvolgere anche le bambine.

 

A livello interiore e individuale, è necessario educare all’emozione sin da piccoli: dare un nome alle emozioni.

 

Amare non prevede il fare del male.

 

Sciogliere il legame tra amore e possesso: è quanto mai necessaria una nuova idea di relazione sentimentale basta sulla libertà e non sul possesso.

 

Se non ti fa uscire con le amiche non è perché ti ama e ti vuole solo per lui.

 

Lavoro interiore e, in certi casi, terapia: ci vuole coraggio per guardarsi dentro e destrutturare convinzioni tossiche. Per alcuni uomini e alcune donne, iniziare un percorso di crescita personale può essere davvero un atto rivoluzionario.

 

Mi ha solo lasciato, non mi ha umiliato.

 

Posso stare da sola, non ho bisogno di un uomo per brillare.

 

A livello culturale ed educativo, invece, è doveroso veicolare un immaginario collettivo diverso, va raccontata una nuova mascolinità: vulnerabile, empatica, potente sì ma non dominante.

 

E’ urgente introdurre l’educazione affettiva nelle scuole: dalla scuola dell’infanzia in avanti si deve parlare di emozioni, di rispetto, di confini e di consenso. E sì, anche di sesso.

 

Il percorso di trasformazione, che non è una lotta ma un compito quotidiano, non è una questione di donne. Donne e uomini devono prendere la parola, schierarsi e fare rete.

 

E infine, spiritualmente, va preso atto che il mondo sta cambiando. L’energia femminile sta emergendo con forza, anche dentro gli uomini.

 

Uomini, non dovete più salvare il mondo da soli! Non è forse questo un sospiro di sollievo?

 

Sono le donne e dover aiutare gli uomini. No, le donne non sono crocerossine, né dunque responsabili della guarigione degli uomini, ma possono essere un ponte di consapevolezza prima di tutto nei confronti dei propri figli.

 

Come?

 

Restando integre nella propria verità: una donna che non si adatta per essere accettata, che non tace per non dare fastidio, che non si fa da parte per non sminuire lui è già un ponte di consapevolezza, restando sé stessa, è già un esempio di un’altra via, quella in cui l’amore non è dipendenza, ma libertà.

 

Essendo specchio, non stampelle, né tantomeno madre.

 

Non è tuo compito restare per salvarlo.

 

Trasmettendo un nuovo modo di relazionarsi, mostrando che vulnerabilità è sinonimo di forza e non di debolezza, che il sentire è potere.

 

Dicendo no come atto d’amore collettivo.

 

Il “no” che dà fastidio è spesso il primo passo della trasformazione di cui la società ha bisogno.



Articolo originale in Italiano.