LA POESIA DOPO LA FINE DELL’ERA DEL TESTIMONE

LA POESIA DOPO LA FINE DELL’ERA DEL TESTIMONE

di PATRIZIA DUGHERO

 

La fisionomia di “ISONZO SOČA” si arricchisce di una nuova sezione dedicata alla poesia: uno spazio aperto ai testi e ai libri pubblicati o inediti nei luoghi delle due Gorizie, abitati e descritti da importanti autori del panorama letterario italo-sloveno. Un contenitore utile alla diffusione e allo scambio di testi, multilingue e multiforme, per andare in fondo a questa ricerca di osmotiche relazioni, grazie alla costruzione di ponti anche letterari. 

In questo primo caso la scelta è caduta su un unico autore, David Bandelj, goriziano, di madre-lingua slovena, poeta e musicista, traduttore, nato a Gorizia, dove vive, dopo aver conseguito il Dottorato in letteratura comparata all’Università di Ljubljana. David Bandelj ha pubblicato diverse raccolte di poesie in lingua slovena fino al 2020 quando vede la luce Enajst let in pol tišine per le case editrici Slovenska matica e Mladika, a cui segue Ronin nel 2022. Dal 2008 si cimenta in saggi e monografie storico-letterarie, mentre le sue poesie sono pubblicate nelle principali riviste letterarie slovene e in traduzione (italiano, inglese, macedone, ceco, polacco). Poeta noto e riconosciuto (numerosi i festival letterari locali e internazionali cui ha partecipato anche come mentore e commissario, soprattutto quelli organizzati dallo JSKD – Javni sklad Republike Slovenije za kulturne dejavnosti) ricevendo diversi premi. Pur non auto-traducendo i propri componimenti, ha tradotto in lingua slovena autori sia di lingua italiana che friulana, come Tommaso Campanella, Dario Bellezza, Celso Macor, oltre a poeti nativi australiani e alcuni classici latini. Insegnante di materie letterarie al Liceo Gregorčič, a Gorizia, dirige il Coro misto giovanile Emil Komel e il Komorni orkester Nova di Nova Gorica. È proprio nel ruolo di insegnante che compie i primi viaggi di Memoria, da cui ogni volta torna con pietre di silenzio pesanti come macigni e inizia a forgiarsi come testimone di tragici siti quali Auschwitz. La fine dell’era del testimone ha prodotto un vero e proprio ricambio generazionale che, in mancanza di sopravvissuti, vede oggi protagonisti quegli ebrei di terza generazione, nati tra gli anni ’60 e ’80, figli di chi ha vissuto la dittatura fascista e l’occupazione nazista, ma anche una rigenerazione sulle testimonianze perché, quando i testimoni diretti saranno scomparsi, sicuramente a raccontare ci resteranno anche e soprattutto le opere, i musei, le architetture e i memoriali che trasmetteranno quel passato con il linguaggio della contemporaneità. La traduzione della silloge che in italiano diventa Undici anni e mezzo di silenzio per Qudulibri, 2025, si compie con un atto che non solo contiene il valore intrinseco di un “colloquio tra pochi ritradotto da altri”, ma come vero e proprio passaggio di testimone necessario e imprescindibile, specialmente dopo i fatti avvenuti il 7 ottobre 2024.

La traduttrice, Aleksandra Devetak, ha accompagnato i silenzi, colmi di grave mistero, tra un verso e l’altro, con un costante confronto con l’autore. Sta qui la differenza sostanziale con il “cumulo di immagini frante” di tanta poesia contemporanea, in quest’opera fatta con la storia della cultura e che, sulla sua analisi critica, trasforma l’emozione in una polifonia, composta non solo di basso continuo ma dell’impegno a capovolgere l’assunto che Adorno enunciò nel ’49: “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”.

Per la sua drammatica unicità, la Shoah rappresenta uno spazio di memoria che, in modo convulso e contraddittorio, fornisce la cifra di quanto le strategie di fruizione delle emozioni siano oggi mutate rispetto al passato: le tante e varie espressioni artistiche sulla Shoah hanno spesso portato a far riflettere i
visitatori, generando una critica responsabile e nuovi testimoni.

Vogliamo pensare che le atroci storie consumate in quei luoghi portino un germe per una via d’uscita dagli orrori, convinti che la letteratura sarà giudicata, così come la storia. Spesso si è chiamati a giustificare la propria poetica e una notevole dose di progettualità scrittoria accompagna questa opera di Bandelj che inseriamo nel numero della rivista discostandoci solo in apparenza dal tema
La città: l’autore restituisce straordinariamente una comunità di vicinanza tra quei presenti-assenti. David invece di giustificazioni ci indica tre componimenti lapidari quanto melodici, per un giusto grado di riconoscimento, nella rottura dello spossessamento di sé, atto che la poesia può e deve compiere nella “cittadella” di trasformatori, più che di visitatori, e di questo lo ringraziamo.



Articolo originale in Italiano.